Le fiammelle gialle

Roberto Beccantini30 November 2021

Dalla Guardia di Finanza alle guardie di Allegri, hai voglia. Con la giustizia e i giustizieri all’opera, la «fattura» del gioco non poteva non risentirne. Decimata la Salernitana, incerottata la Juventus. Lo stadio Arechi ricorda Andrea Fortunato, che da queste parti nacque e a Torino avrebbe preso il volo se il destino non ne avesse storpiato il cognome. Noi scribi «riuscimmo» comunque a dargli del lavativo, complimenti.

La partita. L’aria è da fine impero, la squadra di Colantuono è ultima, lascia il cuore del ring a Locatelli, a Bentancur, a Cuadrado che svaria, come Bernardeschi, come Kulusevski. Il ritmo è lento, non rock: vi contribuisce il catenaccione di Gagliolo e c. Passa, la Juventus, con un bel gol di Dybala, su tocco di Kulu: e Chiellini avrebbe pure raddoppiato, in mischia, se il Var non avesse colto un fuorigioco «capezzolare» di Kean. Resta la punizione di Cuadrado, sul palo: però.

Possesso palla all’intervallo: Salernitana 20%, Juventus 80%. Immagino gli orgasmi dei «tikitakisti». Il problema è il risultato, pericolosamente in bilico. Nonostante tutto. «Halma mater» invita a non distrarsi, a cercare il fraseggio. La stagione è stata ricca di trappole insidiose, di riscosse ambigue, di cadute grossolane. E’ la Juventus, o almeno dovrebbe: una squadra che, per blasone, non può dirsi distratta dal bordello in cui le plusvalenze e dintorni hanno trasformato il convento che fu. Facile, a parole.

La Salernitana di mister Trust (traduzione inglese di signor Lotito) aspetta al varco. E’ impossibile che l’ex tiranna non commetta almeno una fotta. E difatti: palo interno di Ranieri.

Il mio regno per un centravanti. Morata avvicenda un grigio Kean e raddoppia su assist di Bernardeschi. Poi si procura un rigore che Dybala, il migliorino, sbatte in curva. Scivolando. Una metafora dell’indotto.

La notte di Diego. E di Mertens

Roberto Beccantini28 November 2021

Il Napoli stacca il Milan, avvicinato dall’Inter, la mia favorita, vittoriosa in scioltezza a Venezia. Classifica: Napoli 35, Milan 32, Inter 31, Atalanta 28. Non è stata una tappa banale. Anzi.

Cominciamo da San Siro. Sembrava una passeggiata, per il Diavolo, subito padrone e subito in gol, con Romagnoli. Piano piano, però, il Sassuolo ha preso campo e forza dal palleggio di Maxime Lopez e Matheus Henrique, gli strappi di Frattesi, le ante di Scamacca e i dribbling di Berardi, il migliore. A Pioli era stato appena rinnovato il contratto: giusto così. Con il senno di poi, temo che abbia affrettato il recupero di Maignan, ma la Champions costa, specie se gloriosa come la sera di Madrid, e qualcosa scricchiola: 1 punto nelle ultime tre partite – quello, avventuroso, nel derby – e 8 gol incassati. Troppi.

Il turnover non ha funzionato, e Ibra è un eroe che ogni tanto, a 40 anni, ci ricorda quanto sia difficile esserlo sempre. Tutti sotto la media, da Leao a Kjaer. Il 3-1 firmato dalla quasi doppietta di Scamacca (complice, sul secondo, proprio il danese) e da Berardi non si presta a scaramucce. Il rosso di Romagnoli ha accorciato l’agonia e anticipato l’euforia. Vallo a capire, il calcio (certe volte, almeno): il Sassuolo di Dionisi aveva sofferto di più, molto di più, allo Stadium, contro la sgangherata Juventus di Allegri.

Napoli, adesso. Il buio e le luci per Diego. Una notte da pelle d’oca. E un Mertens a quei livelli lì, del «diez». Entra nell’azione che propizia l’1-0 di Zielinski, segna in slalom dopo un’azione «a tutta squadra» e quindi con una parabola dal limite, una di quelle che sorprendono i portieri e i condomini. Punta, mezza punta, punta «e» capo. Se il destro al posto del sinistro è puro dettaglio, la statua all’ingresso
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Credevo peggio

Roberto Beccantini27 November 2021

Le quattro pere del Chelsea, il circo delle plusvalenze, la plus-Atalanta. Che settimana, per la «fu» Juventus. Un gol di Zapata, con De Ligt sbadigliante, ha indirizzato il destino. Un gol di forza. Da centravanti. Quello che Allegri, pace alla «halma» sua, non ha più. Sarebbe Morata, ma gioca (troppo) spalle alla porte: per limiti? per schemi? A Palermo lo fu Dybala, ma era un altro mondo e oggi, dell’Omarino, serve quel briciolo di fantasia che distribuisce, al prezzo di qualche coriandolo e rari petardi, punizioni a parte.

Gasp ha trasformato la Dea in una macchina da guerra. Non sempre brillante, sempre sul pezzo. Morde, graffia, mena: ha vinto da «squadra matura», senza offrire calcio spaziale, ha vinto di corto muso, come piace ad Allegri, un tiro e un gran muro. La Juventus l’ha sofferta per un tempo, poi più. I fischi e lo scarto l’hanno spinta all’attacco, come non accadeva da mo’, non è stata fortunata (gli infortuni di Chiesa e McKennie; la traversa scheggiata dalla Joya), ha costretto l’Ego di Bergamo a coprirsi (Palomino).

Sinceramente: credevo peggio. Rabiot resta materia di studio: essere o non essere cosa? Da Bernardeschi ho finito, ormai, di aspettare: che aspetti lui. I lanci di Bonucci, il lavorìo di Locatelli: briciole. Gli strappi di Chiesa sono come i ceri alla Madonna: un cristiano vero non dovrebbe averne «sempre» bisogno. Max ha alternato Morata, Kean, Kaio Jorge: puntini di sospensione.

Giù dal podio dalla fuga del «corpo estraneo», cinque sconfitte sul groppone e lontano dalla zona Champions: chi verrà dopo Agnelli e Allegri dovrà scendere a patti con i miei pronostici e il delirio di onnipotenza che – spesso, troppo spesso – prende la famiglia. L’Atalanta non vinceva a Torino da 32 anni: ha festeggiato, alla fine, come se avesse battuto la Juventus.